| |||||||
Un fenomeno, un campione autentico. Un goleador atipico, non uno sfondatore, ma un ragionatore; non un panzer, ma un attaccante intelligente, capace di assistere i compagni, a servizio della squadra. Scrive Ettore Berra: «Libonatti era un centravanti di manovra, giocava arretrato rispetto alle mezze ali, era un organizzatore, un distributore di gioco, un calcolatore, un osservatore attento; frugava con l’occhio acuto nel tessuto della difesa opposta per scoprirne le falle. Il suo tiro era secco, generalmente un tiro corto, ma preciso, sul portiere quasi sempre spiazzato». Libonatti fu il primo oriundo – meglio, all’epoca i giocatori nati all’estero da genitori italiani erano detti “rimpatriati” – a venire in Italia e a vestire la maglia della Nazionale (nelle cui file, detto per inciso, collezionò 17 partite e 15 reti). In Argentina cresce nell’organico del Newell’s Old Boys, ma presto approda alla Nazionale bianco-celeste facendo faville. Lo chiamano “el potrillo”, il puledro, per via delle sua scappate sull’ala e le rapide fughe, con destinazione la porta avversaria.
Appena in Italia diventa possibile convocare i rimpatriati, il primo a muoversi è il presidente del Torino, l’illuminato conte Enrico Marone Cinzano, che individua in Libonatti l’asso da affiancare ad Adolfo Baloncieri, il grande interno appena prelevato dall’Alessandria, dove la sua presenza non è più gradita alla tifoseria che lo ritiene al capolinea (Baloncieri, al pari di quel che capiterà a Gabetto una ventina di anni dopo, rinascerà a nuova vita con la maglia del Torino).
La cosa funzionò a meraviglia per i colori granata. Quando l’anno successivo (1926-27) ai due si andò ad aggiungere l’attaccante spezzino Gino Rossetti II, Marone completò un trio di attaccanti, ben presto battezzato dai tifosi il “trio delle meraviglie”.
Nel torneo 1928-29 le reti messe a segno arrivarono a 117 in sole 33 partite, come a dire una media pari a 3,54 a partita! In questa prolifica realtà Libonatti fece brillantemente la sua parte, mettendo a segno in 9 stagioni complete, e su 238 partite, la bellezza di 154 reti che ancora oggi ne fanno il bomber più prolifico per quanto riguarda i match di campionato (meglio di Paolino Pulici, fermo a 134, ma in 14 stagioni e 335 gare). Nelle giornate di vena era imprendibile, difficile da marcare, eppure quanto mai generoso. Certe volte, pur se in buona posizione, pareva esitare; sembrava non volesse tirare. Ed era proprio così: non calciava a rete apposta, finché non riteneva di trovarsi nella migliore delle circostanze, sicuro di segnare. Vivido e perfetto il ritratto che ne fa Giglio Panza, che ne vide le imprese al Filadelfia: «L’unico della squadra che sul piano della classe potesse sostenere il confronto con Baloncieri era Libonatti. Piccolo di statura, ma solido nel tronco e forte nei contrasti, rapido nello smistamento del pallone, altruista nel gioco come lo era nella vita, questo italo-argentino ha segnato caterve di gol, colpendo il pallone di punta nella metà centrale della circonferenza, come un giocatore di biliardo».
Esatto, proprio come un giocatore di biliardo. Quante le notti di Julio trascorse a girare attorno alla plancia verde di un biliardo. Tutti i bar alla moda di Torino erano suoi, dal Patria, al Fiorina, a Pepino. Anche a biliardo era un campione, tanto da meritarsi l’appellativo di “stecca d’oro”. La passione per la vita, vissuta ai cento all’ora, il gusto, quasi ironico, della celebrità. Libonatti ci credeva, era fatto così e spendeva tutte le sue energie fisiche e economiche, senza troppo pensare. I giornali del tempo ce lo descrivono come allegro, sempre pronto allo scherzo. La mania delle camicie di seta e delle cravatte, le più belle, le più costose. Usate una volta non concedeva mai il bis e le regalava, nuove. I quattrini – che già all’epoca per lui erano parecchi – si sfilavano dalle sue dita con la stessa naturale facilità con cui segnava. Quando il Toro lo lascia libero si accasa per due stagioni al Genoa. Da lì, a fine carriera, decide di rientrare in patria. Addio, grande Libo!
|
giovedì 2 luglio 2009
I Grandi che hanno fatto grande il Toro
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento