. | GRANDE TORINO ... i comprimari che hanno contribuito alla costruzione del mito PERIODO 1942 - 1943: - BALDI Fioravante ( 16 partite), BODOIRA Alfredo ( 17 partite ), CASSANO Luigi ( 15 partite ), CAVALLI Filippo ( 13 partite ), ELLENA Giacinto ( 29 partite ), FERRINI Osvaldo ( 23 partite ), GALLEA Cesare ( 15 partite ). PERIODO 1942 -1946: PIACENTINI Sergio ( 32 partite - 1 gol ). PERIODO 1942 - 1948:FERRARIS Pietro ( 118 partite - 35 gol ). PERIODO 1945 - 1946: ZECCA Adriano ( 2 partite), SANTAGIULIANA Alfonso ( 16 partite - 1 gol ), GUARALDO Oreste ( 11 partite - 2 gol ). PERIODO 1946 -1947: TIEGHI Guido ( 3 partite 2 gol ), ROSETTA Francesco ( 13 partite ), PIANI Dante ( 13 partite ). PERIODO 1947 - 1948: FABIAN Josef (15 partite - 9 gol ). PERIODO 1947 -1949: TOMA' Sauro ( 26 partite ). PERIODO 1948 - 1949: BALBIANO Alfio ( 1 partita ), BIGLINO Pietro (1 partita ), GANDOLFI Renato ( 2 partite ), GIULIANO Luigi ( 4 partite - 3 gol ) |
sabato 30 maggio 2009
. | VALERIO BACIGALUPO Nato a Vado Ligure (Savona) il 12 marzo 1924. Portiere. Arriva dal Savona, dopo aver giocato nel Genoa il campionato di Guerra 1944. E' subito inserito nell'undici titolare e, dopo qualche comprensibile incertezza, diventa ben presto elemento di sicuro affidamento. Dotato di grandi risorse atletiche, che gli consentono in talune circostanze di concedersi alle platee, è uno dei primi portieri sistemisti del nostro calcio, indispensabile in una squadra costantemente votata al gioco d'attacco nella quale è sovente costretto all'uscita temeraria, all'intervento spericolato. Doti queste ultime che, in virtù anche del carattere aperto e di un'innata simpatia, ne fanno un autentico beniamino del Filadelfia. Scattante, concentrato e dotato di naturale colpo d'occhio sa comandare la difesa. Vince lo scudetto nel 1946, 1947, 1948 e 1949. E' 137 volte granata. |
Ancora il vino, il colore granata della maglia, nella storia di uno dei tanti protagonisti dell’epopea secolare del Torino.
È lui il titolare dei due scudetti vinti in sequenza, fra cui quello revocato, una stilettata la cuore. La buona sorte lo accompagna fino alla fine della sua bella carriera granata, quando con 2 presenze entra nella rosa della squadra che, alla rinascita del torneo nel 1936, conquista la prima Coppa Italia per i colori granata. Ora la maglia col numero uno è sulle spalle di un altro portiere rimasto carissimo alla tifoseria, Giuseppe “Pino” Maina. Colta quest’ultima, significativa, affermazione, Bosia lascia Torino e se ne torna a casa. Ancora qualche divertente stagione fra i dilettanti, poi si dedica anima e corpo alla sua avviata impresa vinicola.
Ancora il vino, il colore granata della maglia, nella storia di uno dei tanti protagonisti dell’epopea secolare del Torino.
Bosia ha ben chiara la realtà. Sa di non essere un campione, come certi suoi colleghi passati o presenti, che si esibiscono su altre piazze calcistiche, ed è lui il primo a riconoscerlo, con un esercizio di autocritica persino divertente, quando si lascia a simpatiche dichiarazioni in piemontese del tipo, tradotte: «Non sarò un campione, ma quando è ora di acciuffarla, la palla, la cosa non vi viene tanto male; e, fino a prova contraria, a un portiere è questo quel che si chiede». Insomma, in mezzo ai pali se la cava egregiamente, quel tanto che basta per mantenersi caldo il posto di titolare per tanti anni in una squadra fatta da campioni.
Quel primo, oggi antico, grande Torino di Antonio Janni e del “trio delle meraviglie”, Baloncieri.Libonatti-Rossetti.
Veder scendere in campo Bosia era uno spettacolo. Si presentava tutto bardato, come un cavaliere medievale che si appresta alla battaglia. I calzettoni ben distesi, fermati appena sotto il ginocchio; due ampie e ben imbottite ginocchiere; calzoncini larghi e abbondanti, generosi, per non essere impedito nel movimento; un pesante maglioncino nero o grigio, sovente addobbato con un collettino in tinta e, dulcis in fundo, un’elegante coppola, con una lieve visiera in aggetto. I guanti, poi, assolutamente di rigore, anche se più simili a quelli normali, in cuoio, da passeggio che agli strumenti di un portiere. Questa la forma, l’apparenza, garantita per ogni match. Non altrettanto si poteva dire per la prestazione in campo che non sempre risultava cristallina. Un motivo, autentico, c’era.
Fra gli Astigiani, dove era calcisticamente cresciuto, non c’era tanto tempo per apprendere i cosiddetti fondamentali e così “Censin” si era fatto da solo; era diventato un buon portiere strada facendo. Una cosa però non gli mancava mai, il dinamismo fresco e continuo e un’agilità a volte sorprendente, tanto da farlo rassomigliare ad un folletto dei boschi, considerata anche una statura per nulla importante. Buona anche la coordinazione, presente in ogni suo gesto.
La critica calcistica, non lo stimava tantissimo e sovente lo punzecchiava, proprio per via di quella sua immaturità tecnica, sopperita dallo slancio. Giglio Panza, bonariamente, scrive di lui: «Discreto portiere, coordinato, senza straordinarie risorse atletiche, ma dal felice piazzamento. Un regolarista». Vincenzo Bosia vive nel modo più completo l’intera epopea del Torino di Marone Cinzano.
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Presenze in granata: 191 È il portiere del primo scudetto e non solo. Con un bel gruzzolo di presenze vicino alla doppia centinaia, Bosia è nell’élite dei numeri uno della Storia più che centenaria del Torino. Inizia la carriera nella sua città con la maglia degli Astigiani e qui, fra una gara di esibizione fuori porta e molte gare nel campionato dei dilettanti, fa bloccare il radar degli osservatori granata, sparsi un po’ ovunque, sulle sue via via sempre più brillanti prestazioni. Resterà al Toro per nove intense annate, piene di soddisfazioni e di belle imprese. Si affaccia in prima squadra nella stagione 1926-27, un paio di anni dopo l’arrivo alla presidenza del conte Marone Cinzano, più che mai deciso a fare del suo Torino una grande Società. La prima di Bosia è a Cremona il 10 ottobre del 1926. “Censin” come prenderanno a chiamarlo tifosi e compagni, esce indenne dal campo lombardo e il Torino fa il corsaro, imponendosi per 0-1. Un sogno coronato, realizzato, questo esordio nella massima categoria del nostro calcio. Da questo giorno inizia per lui una carriera nuova, tutta diversa; ma l’animo, lo spirito, l’atteggiamento continueranno ad essere sempre quelli del pioniere, mosso dal sacro fuoco della passione e della sportività che solo il dilettantismo più puro, come il suo, era capace di garantire. |
Quando nell’estate del 1912 papà Antonio decide di rientrare in patria, Francesco non esita a fare due cose: presentarsi al trainer Vittorio Pozzo sul campo di calcio del Torino e segnalare ai carabinieri che se ci fosse necessità di militi egli è pronto. Il fisico è possente, rotondetto, al football ha imparato a giocare in Sudamerica, in squadra c’è bisogno di rinnovamento e di un centravanti.
Cisco entra fra i titolati, gioca e Pozzo non lo toglie più. Così lo ricordava: «Dal posto di centroattacco in cui aveva esordito non si mosse più. Per lunghi anni fu il classico perno della prima linea del Torino. Ad un certo punto della sua carriera si convertì in portiere e pure in questa posizione si distinse, per la prontezza d’occhio e la salda presa. Apparteneva a quella stirpe di giocatori che la nostra città ebbe in abbondanza in quell’epoca: gai, spensierati, allegri, buoni amici, amanti del buon vino e delle belle ragazze, ma tutti d’un pezzo sul campo, decisi, energici, volitivi.
Parlava uno strano piemontese che aveva appreso dai parenti in Argentina».
I gol erano la sua passione: 55 su 52 gare ufficiali di campionato come attaccante, anche se computando tutto, gli uni e le altre si raddoppierebbero, considerati i match amichevoli e i tornei. Un granata a tuttotondo, con una passione che gli ha fatto sfidare anche un menisco scassato pur di restare in campo da portiere.
E dopo ogni gol una risata; sempre Pozzo, suo estimatore, aggiunge: «Crediamo che abbia riso, così per reagire alla tragedia, anche quando all’8° Alpini, i tedeschi lo presero prigioniero in Carnia, alla ritirata di Caporetto».
Già, anche la guerra e la vita in pericolo, la testa a casa, ai fratelli, al Toro. Il pensiero alle partite, alle sfide, alle reti segnate. Un conto particolare quello servito all’antica squadra cittadina del Piemonte, destinata a sfaldarsi nel 1914.
I Grandi che hanno fatto grande il Toro
L’impresa che ce lo consegna alla storia è “il gol dei gol”...
Cinquanta metri di velocità pura, con tutti in piedi a vedere chi arrivava prima. Entrato in rete con la palla, si era voltato verso di noi, lì a due passi: “A l’a piasüti, neh!?”
FRANCESCO "CESCO" MOSSO I